Accanto alle bellezze artistiche, Bevagna è apprezzata per i suoi piatti al tartufo e le specialità della cucina umbra, per il genuino olio d’oliva di frantoio, spremuto a freddo, e per i vini D.O.C. bianchi e rossi. Il Sagrantino, secco e passito, ha ottenuto la denominazione di Origine Controllata e Garantita quale riconoscimento della millenaria coltivazione della vite nel territorio dell’antica Mevania, come attestano alcuni autori latini e oggi ci permette di gustare un piatto tipico di Bevagna, gli gnocchi al Sagrantino.
Dolci caratteristici vengono preparati in occasioni di feste ricorrenti quali: frappe a carnevale, pizze dolci e salate a Pasqua, maccheroni e rocciate per i Santi, panicocoli e pastarelle. Il 6 dicembre è il giorno in cui i bambini di Bevagna, a differenza delle consuetudini regionali, ricevono i regali accompagnati dalle pastarelle di San Nicolò e dai mandarini. La colazione tradizionale di Pasqua, benedetta il Giovedì Santo, prevede: pizza al formaggio, salumi e insaccati, uova sode e vernaccia.
Da Mevania a Bevagna accenni sulla storia del buon vino delle nostre colline
Gli scrittori latini concordano nell’esaltare la fiorente agricoltura praticata nel territorio dell’antica Mevania: così Virgilio, Servio, Lucano, Stazio, Columella e Silio Italico, i quali celebrano la pingue campagna ricca di campi e pascoli, resi fertili dalle acque dei diversi corsi d’acqua fra i quali il Clitunno, alle cui fatidiche acque attribuiscono la facoltà di crescere i bianchi tori destinati agli altari di Roma.
Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (XIV, 3, 37) nomina l’uva Itriola come prodotto caratteristico del agro bevanate e del territorio del Piceno, un’uva le cui foglie si colorano di rosso in autunno, prima di cadere. Nel tempo quest’uva è stata identificata con l’uva passerina, il cui nome deriverebbe dalla parola greca (itrion) che indica l’estrema dolcezza del suo sapore, detta passolina dal Dalmasso nel 1937 o identificata con il pizzutello (Bunbury), viene invece classificata come uva da vino dal Billiard nel 1913.
La presenza nella antica Mevania, il cui territorio si estendeva alla odierna Montefalco, di una fabbrica di coppe di tipo megarese, databile al I secolo a.C., del maestro figulino C.Popilius, viene da alcuni messa in relazione con una qualificata produzione di vino.
Vigne di proprietà dell’Abazia di Sassovivo sono testimoniate nel Medioevo anche nel territorio di Bevagna.
L’importanza della coltura della vite è testimoniata anche dallo Statuto del ‘500, dove viene minuziosamente regolamentata la coltivazione e il commercio: è severamente vietato esportare uve e mosti in tempo di vendemmia ed è concesso portare fuori solo un massimo di tre raspi, pena il pagamento di multe consistenti; ugualmente i venditori di vino al minuto devono servirsi di misure appositamente sigillate dal Comune (il pittitto e la foglietta), misure di cui il podestà in carica è tenuto a controllare di persona, una volta al mese, la regolarità .
Anche i catasti del Seicento e del Settecento ribadiscono l’immagine di un territorio agrario ricco di terreni destinati a colture maritare e a pergolati, mentre l’Elenco degli industrianti ed esercenti arti e mestieri redatto nel 1850 testimonia la presenza all’interno delle mura di Bevagna di sei osterie o rivendite di vino al dettaglio. L’importanza della produzione enologica viene ribadita nel corso del’Ottocento: nel 1895 Bevagna è indicata quale uno dei centri umbri nei quali “l’industria enologica è esercitata con razionali criteri e sistemi” insieme a Montefalco, Gualdo Cattaneo, Piegaro e Orvieto. Ancora nel 1901 Vittorio Colla descrive la campagna come riccamente coltivata, tra l’altro, con “alberi maritati a vite e viti a filoni” nel piano nonché vigneti recenti a sistema Guillot nel colle. In questi anni a cavallo dei due secoli il vino di Bevagna ha modo di conquistare anche riconoscimenti nazionali: così nella mostra tenuta a Perugia nel 1896 ottiene la menzione d’onore Argante Pagliochini “per vini rossi e in modo particolare per la buona imitazione del tipo toscano e per l’importanza della produzione”; nella stessa esposizione i fratelli Maurizi vincono la medaglia di bronzo nella categoria dei vini rossi da pasto. Le grandi esposizioni ottocentesche terminano con la mostra di Parigi del 1900, alla quale partecipano quattro vitivinicoltori umbri: tra questi i fratelli Argante e Gabriele Pagliocchini di Bevagna, che portano vino rosso e bianco da pasto e da dessert, produzione 1897, 1898, 1899 .
Dal 13 al 20 settembre 1925 si tiene a Montefalco una mostra fieristica regionale dei vini e d’ olio organizzata dalla Cattedra ambulante di agricoltura di Spoleto e dal comune di Montefalco, sotto gli auspici del Ministero dell’economia nazionale, della Provincia dell’Umbria e della Camera di commercio e industria dell’Umbria. Quanti visitano l’esposizione hanno potuto ammirare il meglio dei vini dell’Umbria, tra questi i nostri vini, descritti come “rutilante liquore che stilla dai pingui grappoli delle dolci colline di Bevagna” .
Sebbene questo rapido excursus sembra non aver nulla a che fare con le vicende del Sagrantino, tuttavia esso testimonia la presenza di uno scenario antico e recente che mette Bevagna al centro della produzione di vini rossi oltre l’anno, da alcuni avvicinati alle vicende del Brunello di Montalcino. Su questo terreno si inseriscono i produttori che sono stati capaci di incidere profondamente nella storia dei vini del territorio di Bevagna: si fa riferimento alle cantine di Adanti, di Benincasa, di Antano e di Dionigi le cui attività imprenditoriali hanno portato ad un grande sviluppo delle loro aziende, aprendo la strada ad una molteplicità di altre cantine, che oggi sono nel territorio di Bevagna, attirando l’attenzione anche di importanti marchi nazionali, che coltivano viti pregiate sulle nostre colline.
Per quanto riguarda il rapporto tra Bevagna e i suoi vini, un’ultima suggestione ci viene dal racconto della vita del beato Giacomo Bianconi: santo poco propenso a fare miracoli in vita, decide di fare un dono ai suoi concittadini che mormoravano per tanta scarsezza. Così si fa portare sul letto di morte l’acqua del pozzo del convento di San Domenico e, sotto gli occhi dei bevanati esterrefatti, trasforma l’acqua in vino “e del più generoso che mai se ne bevesse in Bevagna. Per dissetare i presenti ne occorsero e due e tre e quattro brocche che, benedette, fecero dell’umile cella un altro cenacolo di Cana ”.
Un vino che ci piace immaginare rosso e corposo come i migliori vini bevanati e come il più celebrato e noto Sagrantino.