Dopo il capoluogo, Cantalupo è il paese più grande del Comune di Bevagna. Collocato ad un’altitudine di 204 metri sul livello del mare, a mezza strada tra Cannara e Bevagna e all’incrocio tra il torrente Attone (in origine Lattone) e uno dei percorsi della Via Perugina, Cantalupo è arrivato a contare 1.034 abitanti nel 1951, per poi scendere a 332 nel 2001 e risalire intorno ai 500 nel 2018.
L’origine del suo nome, come quella degli altri nove Cantalupo italiani, è piuttosto misteriosa, e sull’appellativo circolano almeno tre ipotesi: la più fantastica vuole che, in quella zona, quando c’era vento, si sentissero ululare i lupi, e fosse quindi indicato come un posto in cui il lupo cantava, da cui Cantalupo; un’altra fa riferimento ad un toponimo prediale, per cui si potrebbe trattare di castrum Lupi, dal nome di Lupo, discendente degli Antignano; una terza ipotesi, la più suggestiva, considera il luogo come liminale di un vasto territorio dedicato a Giano (Torgiano, Limigiano, Giano dell’Umbria), il cui nome sarebbe derivato da “cantatus lucus”, cioè bosco sacro (allo stesso dio), destinato a trasformarsi da Cantaluco a Cantalupo.
Le sue prime notizie storiche risalgono allo Statuto di Bevagna dell’anno 1500, che in realtà raccoglie e risistema disposizioni di Statuti ben più antichi. Qui Cantalupo viene chiamato in causa ben sette volte come castrum. Ma sulla traduzione del termine è bene intendersi: un castrum collocato in altura può senz’altro trasformarsi in castellum (castello) come nel caso di Castelbuono, oppure consistere in una turris (torre d’avvistamento) come nel caso di Torre del Colle, ma un castrum di pianura va tradotto con termini quali “accampamento fortificato” (non a caso, la sua origine è militare) o, nella tradizione bizantina, a “borgo chiuso”. Insomma, Cantalupo sembra essere stato in partenza un insieme di casupole, disposte in modo conchiuso a ridosso di un corso d’acqua, e non un castello.
All’alba del Duecento è verosimile che nei suoi paraggi sia transitato San Francesco (1181/82-1226) nei suoi spostamenti tra Assisi e la via Flaminia. L’agiografia francescana (Tommaso da Celano, i Fioretti) colloca in proposito in una località nei pressi di Cannara l’episodio della “Predica agli uccelli” di San Francesco – episodio oggi richiamato da un’edicola sacra in località Piandarca, giusto a poca distanza da Cantalupo. Come hanno osservato storici più accreditati, la ricostruzione di quella “Predica” è probabilmente inventata, mentre non lo sarebbe il transito.
Tra il XVI e il XVIII secolo si compie la trasformazione di Cantalupo da castrum a villa (borgo di campagna costruito intorno a residenze padronali). L’ingentilimento dei suoi costumi è dimostrato da due affreschi, risalenti al Cinque-Seicento, situati nel cuore del paese. Il primo riproduce un’immagine dell’Annunciazione e si trova nel loggiato della casa appartenente oggi ad Eulogio Franceschini. Il secondo, ritrovato in una nicchia all’interno di un’abitazione privata adiacente, mostra al centro la Madonna col Bambino, San Sebastiano e San Rocco. L’immagine di San Rocco, considerato il protettore dei pellegrini e degli appestati, farebbe pensare che nell’area si trovasse un edificio monastico o un ospitaletto anche se non ne rimangono tracce documentate.
Sono però le visite pastorali del Sei-Settecento dei vescovi di Spoleto ad attestare la crescita di Cantalupo come villa sempre più ampia. Da uno dei numerosi documenti dell’Archivio Storico Diocesano di Spoleto, si ricava che la “Villa Cantalupi” fosse dotata di un Monte Frumentario e di ben quattro chiese: Beata Vergine dei Sette Dolori, Sant’Angelo (San Michele Arcangelo), San Biagio e San Giovanni, con l’aggiunta della chiesa dell’Annunciazione in località Montarone. La chiesa della Beata Vergine dei Sette Dolori diventa nel corso del tempo l’odierna chiesa di Santa Maria Addolorata, mentre nel Novecento scompaiono progressivamente i resti della chiesa di San Biagio.
Peraltro, per essere tale, una villa deve poter contare sulla presenza di grandi possidenti. Se sappiamo da ricostruzioni dello stato delle anime di più lunga data che a Cantalupo ci sono almeno due famiglie ricche (i Luccioli Falconieri e i Torti), il settecentesco Catasto Avellani ce lo conferma elencando le numerosissime terre coltivabili e coltivate di proprietà dei Luccioli in una vasta area di pianura e collinare intorno al paese.
Nel corso del XX secolo Cantalupo si sviluppa rapidamente, invertendo, per peso demografico e dimensione urbana, il rapporto con Castelbuono, destinato lentamente ma inesorabilmente a perdere abitanti. L’insediamento collinare si rivela sempre meno funzionale, e la cosa favorisce la maggiore comodità dei borghi di pianura. La crescita di Cantalupo si registra in almeno tre sfere: nell’identità civile, nella coscienza politica e nell’ammodernamento infrastrutturale. Testimonianza della prima sfera è l’impegno dei cantalupesi a onorare i propri morti nella Prima Guerra Mondiale, con una lapide, e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con un monumento ai caduti di entrambe le guerre.
La vivacità degli scontri politici è destinata a risvegliarsi anche intorno alla passione musicale che nella prima metà del Novecento coinvolge appieno i ceti popolari. Almeno fin dal 1902 si hanno notizie della Fanfara di Cantalupo, composta unicamente di ottoni, nonché di una scuola di musica particolarmente affollata fino al 1926. La Fanfara è il vanto del paese: anima feste popolari e feste religiose, partecipa a matrimoni e funerali, viene invitata a suonare nei borghi vicini.
Nel 1927, in piena era fascista, il giocattolo si rompe. Forse per divergenze politiche (alcuni musicanti erano rimasti socialisteggianti mentre altri avevano aderito al Regime) o solo per questioni personali, si formano due Fanfare: la Fanfara Veloce e la Fanfara Terribile, che svolgono le prove in due cantine differenti. Ma dopo una sospensione dell’istituzione musicale a Cantalupo, nel 1928 la Fanfara riunificata, trasformatasi in Banda, riprenderà l’attività continuando a sopravvivere tra alti e bassi fino al 1958.
Ma è sul piano del senso di appartenenza e della coesione sociale che lo spirito di Cantalupo resiste nel tempo. Nel 1978 si costituisce la Pro Loco di Cantalupo-Castelbuono per la valorizzazione delle bellezze ambientali e artistiche del territorio e per la difesa e la riproposizione delle tradizioni popolari locali. Fin dall’inizio, la sua iniziativa più conosciuta è la Sagra della Lumaca, nata dall’impegno di due appassionati cantalupesi, Giuseppe (Peppe) Pensa e Leonello Tordoni, e dalla fatica generosa e volontaria di moltissime donne, tra cui Giacomina Tamburo. Essa si svolge nell’ultima settimana di agosto (dal 2016 viene proposta anche come “Lumache in inverno”) nell’ampio Centro Polivalente del paese. Come recita il sito della Pro Loco, “la Sagra della Lumaca è diventata un punto di riferimento gastronomico e culturale per la regione ponendosi tra le sue manifestazioni di maggiore interesse grazie alla capacità di trasmettere i valori della tradizione umbra. Dai pochi chili di lumache raccolte dagli abitanti nelle campagne di Cantalupo di Bevagna, oggi, durante la Sagra, si cucinano oltre 80 quintali di lumache. Alla Sagra della Lumaca lavorano oltre 150 volontari del paese e dei paesi vicini e ha un’affluenza di oltre diecimila presenze. Dal 1995 Cantalupo è una delle quindici Città della Lumaca, disseminate in tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte, che hanno come punto di riferimento l’Associazione Nazionale Elicicoltori”.
La Pro Loco, però, non si limita a questo: nel 2010 essa si fa sostenitrice della nascita del Parco della Scultura di Castelbuono, che prende il via sotto la direzione di Paolo Massei e che da allora celebra ogni anno le sue istallazioni nell’ambito della Settimana della Cultura della Pace che si tiene proprio a Castelbuono tra il 25 aprile e il 1° maggio.
Alcuni membri della Pro Loco (in primis, Domenico Lanari) e altri cantalupesi fondano inoltre nel 1988 il “Centro di Solidarietà Ape”. Il Centro, che è gestito da volontari e conta circa 700 soci suddivisi in 280 nuclei familiari, si autofinanzia e raccoglie fondi con lo scopo di aiutare gratuitamente tutti coloro che hanno bisogno di strumenti sanitari in caso di malattie fortemente invalidanti.
Per i bevanati, gli umbri e i buongustai di altre provenienze, il nome di Cantalupo resta oggi associato essenzialmente alla Sagra della Lumaca. C’è del vero in questa percezione, ma non è tutto. Alla metà di agosto di ogni anno, una settimana prima dall’avvio della Sagra, moltissimi cantalupesi (circa 200 tra residenti ed esuli) si ritrovano nel Centro Polivalente per incontrarsi e per pranzare insieme. Più che pensare ai lupi e alle lumache, essi sono lì soprattutto per festeggiare – in una società dispersiva nelle assonanze e negli affetti come quella odierna – un antico e rinnovato senso di appartenenza. Un’identità collettiva che può apparire perfino inverosimile a chi di Cantalupo non è.
Segatori, GRANDE DIZIONARIO DI BEVAGNA, Vol 11 – pp : 8-9