Catone nelle Origini ricorda che la città è nata prima di Roma e doveva essere florida ed estesa, come testimoniano i recenti ritrovamenti d’età umbra, etrusca e romana in Piazza Sant’Agostino ed i tanti resti romani, dalle terme con tessere bianche e nere raffiguranti soggetti marini, al tempio, dall’ambulacro di un teatro di novanta metri, che sorgeva in prossimità del foro, all’anfiteatro, dalla domus rettangolare, alle cisterne che si aprono in fondi privati, dagli ambienti in via del Gonfalone, con muri, canali e nicchie che si diramano sotto la chiesa di San Domenico e che continuano nelle case in via del Cirone, via Santa Margherita, via Camassei fino ad arrivare all’ingresso della città. Si ipotizza che potesse trattarsi di una struttura termale o di infrastrutture portuali in prossimità del Clitunno, allora abbondante d’acqua e navigabile, alla sua confluenza con il Timia.
In molte abitazioni si vedono resti di pavimentazione musiva, tratti di opus reticolatum e opus mixtum molto ben conservati e si notano pietre dell’antico selciato della via Flaminia incastonate in mura cittadine.
Il commercio, gli scambi via terra, attraverso la via Flaminia e i corsi d’acqua, che circondano Bevagna e confluiscono nel Tevere fanno pensare alla vivacità del paese, importante snodo commerciale, in cui giungevano le merci che andavano a Roma. Di Mevania parlano numerosi autori latini, come Tito Livio, Strabone, Virgilio, Servio, Plinio il Vecchio, Lucano, Tacito, Suetonio, Stazio, Colummella, Silio Italico e ancora oggi si discute sui natali del poeta Sesto Aurelio Properzio, contesi da Bevagna, Spello e Assisi. Scelta per la bellezza del suo paesaggio e per le sue acque limpide, che rendevano candidi i velli dei tori, pascolanti sulle rive del Clitunno, portati a Roma per i sacrifici a Giove Massimo, scelta per le sue terre ubertose dove aveva attecchito l’antico vitigno dell’attuale e pregiato Sagrantino, Mevania era la meta ideale per la villeggiatura delle ricche famiglie patrizie romane. L’antica storia di Bevagna emerge ad ogni scavo ed ha permeato la sua gente, dandole una severa compostezza così come hanno fatto le altre epoche che testimoniano la vitalità del borgo.
Il Medioevo, altrove troppo spesso banalizzato, qui torna ad essere l’arte della manualità e la creatività dei maestri di bottega, un tempo scandito dai ritmi lenti in cui affondano le radici. Ancora oggi, in tutta la città, riaffiorano archi a sesto acuto, finestrelle, cornici, fregi in cotto che rimandano a questa lontana epoca rimasta sospesa nell’aria. Le notti all’erta, gli strepiti degli assedi che a lungo hanno tormentato le mura, sono ormai un ghirigoro dell’altrove tracciato nel cielo denso di nubi.
Ma basta porgere l’orecchio per sentire i suoni, le musiche e i rumori della gente pronta a ricostruire ciò che è andato distrutto. L’arte dei mattonari, la lavorazione della
canapa o della cera, la tradizione domestica delle tele fatte a telaio, il mestiere del vasaio e quello del fabbro, la produzione di carta pergamenata, il conio delle monete, rivivono attraverso l’iniziativa del Mercato delle Gaite con la verosimile ricostruzione di un’economia tendenzialmente chiusa, ma che periodicamente si apriva, in occasione del mercato, a scambi con le città vicine. Com’è sottile il lavoro, umile e valente, sembra dire questo suggestivo viaggio nel passato, che non è finto, non è folclore, ma l’eredità storica del Medioevo e dell’antica Mevania.